don ZoiaLa Freccia nell’ideale del suo fondatore

Un fiore nato dalla libertà.

È storia: la Freccia Azzurra fu fondata nel 1945 per iniziativa di Don Giovanni Zoia, un giovane prete inviato a Gaggiano appena ordinato nel 1938, come coadiutore del Parroco Don Pietro Berra (1911-1938) e poi di Don Giosuè Orio (1939-1958), e che fu Assistente dell’Oratorio maschile S. Tarcisio per oltre 15 anni,  fino al 1953,  dove profuse le migliori energie giovanili del suo ministero sacerdotale.
In quel 1945 non si erano ancora spenti i rumori della guerra che già quel prete aveva la mente volta al futuro. Il Fascismo era definitivamente caduto e con esso le leggi del 1931 che proibivano agli Oratori di svolgere attività sportive, attività che invece erano previste e proposte come complementari e formative già nello Statuto dato dal Cardinal Ferrari agli Oratori milanesi nel 1904 in cui all’articolo XX si dice che “Per allettare la gioventù a frequentare numerosa l’Oratorio, le si procurano adatti e geniali divertimenti, quali i giuochi in genere, il teatro e la ginnastica” (da intendersi come attività atletico-ginnica, sportiva in genere). E quanto a questa, all’art. XXVI si raccomandava: “Nell’Oratorio gioverà istituire una Sezione ginnastica, con proprio personale assistente scelto fra i Cooperatori dell’Oratorio”.
Don Giovanni era un prete di alta spiritualità, attento ai desiderata dei suoi Superiori ma anche abituato per sua natura a guardare avanti. Da uomo fondamentalmente pratico pensava così ai suoi giovani, alle nuove leve e a quelli che tornando dal servizio militare avrebbe di nuovo accolto in Oratorio.
Era un prete molto dinamico, non stava mai fermo un minuto e amava molto lo sport – ricordano gli anziani –  perché l’attività sportiva, diceva Don Zoia:  “… è la medicina dell’anima e anche del corpo: allontana la gioventù da certi ambienti pericolosi”. E in quei tempi bui del primo dopoguerra la sua preoccupazione pastorale fu anche quella di porre le premesse per dar vita ad una Associazione sportiva che “facesse sport in oratorio e per l’oratorio” (1).
Fu per questo che nel suo Oratorio già nei primi giorni successivi alla fine della guerra, quasi un fiore nato dalla ritrovata libertà, si inventò la Freccia Azzurra.
Don Giovanni, ancora nel 1988, ritornato tra noi a celebrare il suo 50° di sacerdozio,  nell’omelia preparata per quel 2 ottobre, diceva:
“É mia convinzione: se l’oratorio avesse solo come fine l’attività sportiva e ricreativa e volesse tenersi aggiornato ai tempi, sarebbe un povero oratorio. Perché? Perché, ragazzi e giovani, di attività sportive ne troveranno certamente sempre più altrove, ma non troveranno altrove quello che trovano all’oratorio, e cioè un cuore di sacerdote che li ama, li cerca e vuole, in tutto e solo, il loro vero bene. Altrove i ragazzi possono trovare l’esercizio di una libertà indiscriminata, all’oratorio invece trovano l’esercizio della loro libertà in crescita, guidata dalla Parola del Signore. Nella crescita di questa libertà é importantissima l’opera dell’Assistente, che deve essere l’anima e la guida dell’oratorio.
Nel 1945, subito dopo la guerra, abbiamo fondato la Freccia Azzurra con tanto amore e con tanto sacrificio, dopo aver superato diverse difficoltà; il primo punto dello statuto diceva: “Lo sport sorge in oratorio e per l’oratorio” [… e in un altro punto si sottolineava] che non si comperavano né si vendevano giocatori, per la stessa finalità che aveva lo sport in oratorio”.
Questi concetti ideali furono sempre chiari nella mente del Fondatore che li aveva già ribaditi nel pro-memoria inviato per lettera alla sua Freccia in occasione del 40° di fondazione di cui riportiamo il testo.

Cara Freccia, ti scrivo

Come nacque la Freccia Azzurra ?
Spontaneamente, come una necessità. Fu un frutto maturato dall’Azione Cattolica in oratorio. Eravamo verso la fine della guerra, che in parte aveva limitate e paralizzate le attività dell’oratorio.  Nel salone e nel locale dove si conservavano i costumi da teatro, avevamo dato alloggio agli sfollati.
Non eravamo ancora usciti completamente dalla situazione di emergenza, ma già si sentiva la necessità di un’attività ricreativa più espansiva, per dare sfogo alle energie giovanili, fino ad allora compresse dalla guerra.
In una adunanza dell’Azione Cattolica presentai e sostenni questo argomento come una necessità. Tutti i presenti, compreso il parroco, furono d’accordo: così nacque lo sport in oratorio e per l’oratorio, come mezzo di formazione e di educazione: come completamento di attività spirituali, morali e catechistiche già esistenti.
Quindi, non sport fine a se stesso, ma in funzione della vita dell’oratorio; quindi, né vendere né comprare giocatori.
Lo stesso oratorio, ben funzionante, sarebbe stato una grande fucina per fornire nuovi elementi al gruppo sportivo.
Vista da tutti i partecipanti alla vita parrocchiale questa necessità imposta dall’evolversi dei tempi, si trattava di scegliere il nome da dare a questo gruppo sportivo.
In una delle prime riunioni dei dirigenti e dei giocatori furono suggeriti diversi nomi; alla fine fu accettato da tutti quello proposto da Bollati Celestino: “Freccia Azzurra O.S.T. (Oratorio San Tarcisio)”. II nome é stato conservato fino ad oggi.
L’organizzazione era pronta, così pure il nome da assegnare alla squadra; l’entusiasmo non mancava, pure i mezzi non mancavano, mancava la cosa più importante: il campo su cui giocare.
Gli allenamenti si facevano nelle campagne del “Gerbùn”. Finalmente superate non poche difficoltà, col consenso dei fittabili, signori Gorini, ottenemmo in affitto dall’E.C.A. di Milano l’attuale campo, sia pure sistemato diversamente.
Nella vita dei primi anni abbiamo dovuto affrontare diverse peripezie, anche se non di grave entità, che sono servite a farci maturare assieme, Oratorio e Freccia, nelle responsabilità.

Don Zoia: un lignamée innestato nella Chiesa

DonZoja-don annibale1963Che l’idea di una attività sportiva indirizzata alla formazione dei giovani non sia e non fu solo l’idea di un lignamée, seppure prete, ma sia sempre stata e sia ancora una delle preoccupazioni presenti nelle grandi linee di pastorale della Chiesa ce lo provano le parole che, durante il Giubileo del 2000, Papa Giovanni Paolo II rivolgeva agli sportivi: “Desidero vivamente esortare con rinnovata speranza a promuovere uno sport […] che liberi i giovani dall’apatia e dall’indifferenza e susciti in loro un sano agonismo; uno sport che sia fattore di emancipazione, che aiuti a costruire un mondo più fraterno e solidale; uno sport che contribuisca ad amare la vita, educhi al sacrificio, al rispetto, alla responsabilità, portando alla piena valorizzazione della persona umana” (20 ottobre 2000).

E poi ancora, il 26 giugno 2004, nell’incontro con i responsabili del CSI, in occasione del 60° di fondazione, il Papa diceva loro in particolare che lo sforzo di promuovere lo sport come esperienza formativa nelle parrocchie, nella scuola, nel territorio, aiuterà le nuove generazioni a scegliere e coltivare i valori della vita e aggiungeva che “È compito anche vostro annunciare e testimoniare la forza umanizzante del Vangelo nei riguardi della pratica sportiva che, se vissuta secondo la visione cristiana, diventa ‘principio generativo’ di relazioni umane profonde, e favorisce la costruzione di un mondo più sereno e solidale”.
Non appaia strano se questi concetti sembrano già presenti negli scritti e nella tensione ideale di un sacerdote di campagna, del nostro fondatore. Don Giovanni era sì un ex-operaio falegname, un povero e umile sacerdote (come amava definirsi), ma era soprattutto un prete ricco di fede, innestato profondamente nella sua Chiesa, colmo di speranza nel futuro e perciò particolarmente attento alla formazione dei giovani.
La sua azione non si fermò qui a Gaggiano.
Il suo amore e la sua attenzione per i giovani li profuse anche da Parroco, dapprima a Vimodrone, dove realizzò la costruzione di ben 3 Oratori, e poi a Grezzago ove la sua prima preoccupazione fu quella di aprire un Oratorio per i ragazzi, e ove ancor oggi i parrocchiani, con riconoscenza, dicono che sarebbe stata una grande grazia per il loro paese se don Zoia fosse stato mandato da loro 20 anni prima!
Nel marzo del 1976, lasciando Vimodrone, che durante la sua cura si era espanso da 2000 a 15000 abitanti, a testimonianza del suo operato e della sua tensione pastorale lui stesso ebbe a scrivere: “Nei quindici anni di ministero a Gaggiano ho lasciato la polpa, soprattutto all’Oratorio; qui a Vimodrone nei 22 anni trascorsi ho lasciato le ossa; nella prossima destinazione spero di lasciare la pelle”… ma il Signore volle diversamente. Morì a Sulbiate, suo paese natale, ove nel 1990, quasi ottantenne, si era ritirato per età insieme all’indimenticabile sorella, nota a tutti come la sciura Stella, che l’aveva seguito e accudìto con amore e affetto verginale per tutta la vita.
Tanto burbero, fermo e coerente nel fronteggiare l’errore, quanto pronto al perdono, e dolce e paterno con chi chiedeva il suo consiglio, fu per certi versi un prete scomodo… Aveva il brutto vizio di non accettare compromessi, ma quello che faceva, a suo vedere, era sempre impostato ad una finalità superiore e, al di là delle critiche che gli si potrebbero muovere, si deve comunque dire che in qualsiasi occasione e luogo del suo operare pastorale, Don Giovanni non ha fatto altro che del bene (2)!

Don Giovanni Zoia: Nato a Brentana di Sulbiate il 24 giugno 1911, già avviato al lavoro come falegname, sente la vocazione al sacerdozio, entra in Seminario e viene ordinato il 4 giugno 1938 dal beato Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Inviato da subito a Gaggiano come Coadiutore della Parrocchia di Sant’Invenzio e come Assistente dell’Oratorio S. Tarcisio, vi opera per 15 anni.
Nel 1953 ottiene la nomina a Parroco della Parrocchia S. Remigio di Vimodrone, ove rimane per 22 anni, fino al marzo del 1976. Poi per altri 14 anni esercita il  ministero di Parroco a Grezzago, fin oltre l’età canonica dei 75 anni.
Nel 1986 è insignito di Medaglia d’Oro, dedicata ai Sacerdoti Ribelli per amore, per la sua attiva partecipazione alla Resistenza, in particolare per la resa ottenuta dai Tedeschi di stanza a Gaggiano il 27 aprile 1945.
Ritiratosi nel 1990 a Sulbiate, suo paese natale, muore il 5 agosto 1993, in età di 82 anni, dopo 55 anni di intensa vita sacerdotale.

1953-Zoia-ReinaLE RADICI NEI DOCUMENTI D’ARCHIVIO

Agosto 1945

Gli appunti e i documenti reperiti nell’Archivio parrocchiale di Sant’Invenzio ci consentono di fare alcune precisazioni e qualche ampliamento dei ricordi su quelli che furono gli inizi della Freccia.
Era il 5 agosto 1945. La guerra si era conclusa da poco più di tre mesi e Don Giovanni Zoia annunciava già in una seduta di Consiglio della Gioventù Italiana di Azione Cattolica oratoriana che:
” il gruppo sportivo è stato costituito con dirigenti e regolamenti propri – solo l’Assistente può approvare o disapprovare le loro decisioni – ha preso la denominazione di Gruppo sportivo O.S.T. Freccia  Azzurra – tutti possono essere soci purché iscritti all’Oratorio”.
L’associazione, concettualmente, nasce da subito non solo come società calcistica ma più precisamente come una polisportiva.
Il primo Consiglio della Freccia era formato da una schiera di nove giovani sui vent’anni, incaricati su indicazione dell’Assistente.
Presidente: Landriani Giuseppe (1) (classe 1926). Consiglieri: Asti Rinaldo (*1923), Battaglia Luigi (*1922), Bertolini Enrico (*1926), Gerla Antonio (*1924), Goi Carlo (*1923), Lunghi Giuseppe (*1926), Migliavacca Carlo (*1926), Reina Beniamino (*1928) (2).
Compito primo di questi dirigenti fu quello di curare e promuovere l’attività ludica, i giochi, in Oratorio (come ricordava l’ex-Presidente Bollati Celeste in occasione del 50° di Fondazione della Freccia) quali: “gare di scopa, barilotto (gare di bocce) e altro”, come la “corsa coi cerchi”,  mentre si andava formando la squadra di calcio.
In quei primi anni anche la barca – una pesante e larga barcozza color grigio marina, dal fondo piatto, che venne utilizzata per diverso tempo per portare in gita i ragazzi sul Naviglio alla domenica (e che fu molto utile in occasione delle alluvioni di quel dopoguerra, quando per diverse volte tutto il paese a nord del canale venne sommerso completamente dalle acque (3)), per Don Giovanni si collocava nell’ottica dello sviluppo integrale dell’attività sportiva, così come l’apertura all’iscrizione tra i soci di giovani ciclisti.
Fu tuttavia la sezione calcio che, coinvolgendo e interessando un più grande numero di ragazzi, prese maggior evidenza e continuità.

Il Campo sportivo

sfidavecchieGlorieIl tempo degli allenamenti e delle partite nei prati del Gerbùn della neonata formazione bianca-azzurra durò poco meno o poco più di un anno.
In data 16 maggio 1946, infatti, il Parroco di allora don Giosuè Orio – coinvolto nel progetto in quanto primo responsabile delle attività parrocchiali – scriveva all’Ente Comunale di Assistenza (ECA) di Milano facendo domanda alla Presidenza dello stesso “perché gli [venisse] concesso in affitto un appezzamento di terreno parte del podere di Gaggiano” da poter usare come campo sportivo.
L’ultima domenica di settembre del 1946, come riportato poi puntualmente sul quaderno dei Verbali dell’Azione Cattolica, Don Zoia in occasione della Festa dell’Oratorio, relazionando sull’attività sportiva, rendeva pubblico “il lavoro svolto per arrivare, almeno come si spera, ad avere un pezzo di terra, ove poter dare divertimento agli oratoriani”. Successivamente, in data 16 ottobre, possiamo notare che viene scritto a verbale che il “progetto” di dotare l’Oratorio di una “Barca” è stato rimandato “a dopo aver sistemato il contratto del campo sportivo”(4).
Mentre la barca rimane ancora per un po’ nel cassetto dei sogni di Don Zoia, la domanda fatta all’ECA per il campo sportivo va a buon fine e viene così stipulato il primo contratto d’affitto con decorrenza dal giorno di San Martino del 1946.
Il pezzo di terra concesso è abbastanza vicino all’oratorio (si trova a non più di 300 metri di distanza) ed è sufficiente per realizzare un campo di calcio quasi regolare. È orientato pressappoco nord-sud, ed è delimitato a ovest da una costa d’alberi di pioppo, che fiancheggia il fontanile proveniente dal territorio di San Vito, a sud dalla cerca che va al tombone della Gamberina e dalla strada per Abbiategrasso, che  costeggia il Naviglio Grande, mentre a nord e a est confina con i campi della Cascina Maggiore.

Il primo campo sportivo è un prato livellato alla meglio e permette un controllo di palla abbastanza buono. La sua disposizione risulta però penalizzante. Ogni fuori campo e, soprattutto, ogni azione sotto rete crea un problema.  Di fatto succede che: se il pallone non finisce nello specchio della porta, da una parte si perde nei campi coltivati e dall’altra, spesso, va a finire nelle acque del fontanile che passa sotto il Naviglio ed ogni volta è un’impresa recuperarlo. Ci si arrangia, da un lato scusandosi coll’affittuario per i danni e il fastidio procurati e dall’altro costruendo un canestro raccattapalle, in ferro attaccato ad un lungo bastone, anche perché il pallone con cui si gioca è e deve essere uno solo – salvo cause di forza maggiore e controllato dall’arbitro prima della partita. Nel frattempo però si cerca di correre ai ripari in modo più serio. Il 14 settembre ’47 il parroco Don Orio invia una nuova lettera all’ECA in cui unitamente alla richiesta di rinnovo del contratto, che si dice entrato in vigore l’11.11.’46 con scadenza 10.11.’47, chiede che gli vengano aggiunti se possibile i 10 metri circa in continuazione della strada privata onde avere la possibilità di “girare il campo da giuoco e così evitare possibili discussioni coll’affittuario vicino così che poi in quella posizione e colle misure che ne risulterebbero soddisferei anche alle esigenze delle leggi sportive” (5). Anche questa domanda venne accolta e fu possibile ampliare il campo ed effettuare il cambio di orientamento in direzione est-ovest.
Dall’Atto notarile del 5 febbraio 1949 con cui si regola la cessione in affitto all’Oratorio S. Tarcisio di 15 pertiche di terra (pari a circa 9815 metri quadri), ricaviamo altre curiosità in particolare per quanto riguarda i nomi dei prati parte del mappale n° 98 che vengono stralciati dai campi denominati ‘gesiolo di sotto’ e  ‘prato della chiesa’ di compendio della Cascina Maggiore(6), che una volta erano campi di confine con il vecchio cimitero di Gaggiano posto a margine della via Manzoni, prospiciente alla rampa di salita del ponte nuovo e dismesso ai primi del ‘900.
Il contratto venne poi rinnovato per pertiche 14 il successivo 11 novembre 1950, misura e terreno che si mantenne in affitto fino al 1969 quando si provvide ad affittare un nuovo appezzamento di terra, sempre dall’ECA di Milano, di mq 12000 circa, confinante però con la ferrovia FS, che si poté recingere e sistemarvi il campo di gioco nella posizione ove trovasi attualmente (7).
Nel 1976, dopo circa 30 anni di affitto, col pericolo di essere sfrattati da un giorno all’altro, si risolveva definitivamente la questione “campo sportivo”. Dopo tre anni di trattative e pratiche burocratiche il Parroco don Annibale Vezzoli otteneva di acquistare dall’E.C.A. di Milano il terreno, già in uso dal 1969, posto al termine di via Sant’Invenzio; l’attuale “Campo sportivo Don Giovanni Zoia”.

La Sede

Al campo non c’erano gli spogliatoi. I giocatori per cambiarsi e prepararsi alla partita utilizzavano il magazzino della chiesa, il corridoio dietro l’altare della Madonna e la saletta dell’oratorio, in una condizione assolutamente precaria. Questo durò almeno per dieci anni. È infatti verso la metà degli anni ’50 che, come segno d’appartenenza della società e come espressione di attenzione dei responsabili dell’oratorio e della parrocchia, don Stefano Bianchi (coadiutore dal 1953 al 1960), fece costruire in Oratorio, sull’area della dismessa giostra costruita dai salesiani nel 1927, una palazzina con spogliatoi, non solo per la comodità della propria squadra ma anche per poter offrire un’accoglienza più decorosa alle squadre  ospiti e all’arbitro.
Per precisione, il 12 settembre 1955 viene inoltrata al Comune la Domanda di Costruzione di spogliatoi ad uso sportivo  unitamente alla richiesta di approvazione del progetto presentato a firma del geom. Vismara Luigi – in cui si fa presente che il lavoro da eseguire è la costruzione di una palazzina indipendente, nel cortile dell’Oratorio, su due livelli con il piano terreno suddiviso in vani da adibire a spogliatoi per giovani sportivi di calcio con docce e gabinetti, e il piano sovrastante adibito sempre a tale scopo in caso di necessità.
Riunita la Commissione edilizia, il 23 settembre, rimarca che nel progetto originale era previsto lo scarico delle acque nere in “fosse perdenti” ritenute “non adatte” per il terreno su cui si progettava di costruire (e non conformi al regolamento di igiene), e pertanto “delibera di esprimere parere favorevole [ … ] purché si presenti il piano delle fognature”(8). Presentata la dovuta documentazione ed ottenuto in data 6 ottobre il necessario Nulla osta dalle autorità igienico sanitarie, il successivo 17 ottobre 1955 viene notificato al Parroco don Giosuè Orio che il Comune ha dato il suo Nulla osta definitivo per la costruzione.
L’opera verrà realizzata l’anno seguente 1956; esecutrice dei lavori la ditta “La mantovana edile”, da poco stabilitasi a Gaggiano.
L’aula soprastante agli spogliatoi – pur se usata fino agli anni ’70 per necessità oratoriane anche come aula di catechismo – venne da subito destinata come SEDE della Freccia, ove tenere riunioni e svolgere tutte quelle altre funzioni d’ufficio inerenti all’attività associativa.